Alex Ross è un critico musicale americano molto orientato alla musica contemporanea. E’ l’autore di un saggio fondamentale in questo campo, “The rest is noise”, che caldamente consiglio, anche nella sua versione italiana (Il resto è rumore, Bompiani). Scrive sul New Yorker, il che già lo classifica come parte dell’intellighenzia americana. Ultimamente, come è doveroso, è ossessionato da Donald Trump, the Horror-Clown.
Ha un blog nel quale, se legge un libro, ne lascia pezzettini: come fanno in tanti, me compreso. Ma i pezzettini soddisfano spesso la sua ossessione. Perlustrando il libro “Vanity Fair Diaries” di Tina Brown, ha trovato un passo che mette insieme la musica e Trump. Nel 1987 (pensa un po’) Tina Brown testimonia che Donald, a cena, avendo presenziato alla prima (opening) di un’opera dell’Anello del Nibelungo al Met, ne lamentava la lunghezza di cinque ore. Già questo sarebbe da buzzurro, ma il buon Alex si è preso la briga di andare a consultare il calendario del Met del settembre di 30 anni fa, per scoprire che l’opera di apertura della stagione era un Otello, non un’opera di Wagner, peraltro in cartellone nello stesso mese. Di qui il sospetto, insufflato nei lettori, che Trump non distingua Verdi da Wagner. Con tutto il rispetto, ritengo si tratti di sospetto fallace, perché l’Otello non dura cinque ore. Alex gioca sporco sull’equivoco del termine “opening” che vorrebbe dire apertura della stagione, e non semplice “prima”. Ma come fa a essere così sicuro che l’errore non sia di Tina Brown, che scriveva veloci annotazioni diaristiche? E, soprattutto, chi se ne frega se Trump trent’anni fa, a cena, incorreva in una veniale imprecisione, nella quale tutti noi cadiamo (“sono stato alla prima alla Scala”: potrebbe essere S.Ambrogio, ma anche la prima di una qualsiasi opera in cartellone)?
Ma, sopra il soprattutto, la vogliamo piantare con questa ridicola ricerca di peli nell’uovo?
P.S.: chissà chi pagò la cena. Sospetto per sospetto, io un sospetto ce l’ho.
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