Piotr Anderszewski ha dato oggi al Conservatorio di Milano un concerto fra i più piacevoli che ricordi. A cominciare dal programma, che spaziava da Bach (Suite francese n.5, Suite inglese n.3) a un brano di Janáček e alla Fantasia in DO op.17 di Schumann.
Anderszewski è fra i massimi pianisti della generazione dei quarantenni. Dovendo scegliere quale dei compositori di stasera gli è più congeniale, direi Schumann. La Fantasia op.17 è il culmine dell’espressività pianistica, e Anderszewski è un pianista romantico, di sobria ma potente espressività, dotato di un sincopato assertivo, ma, anche e soprattutto, splendidamente a suo agio nei passaggi intimistici. Il pezzo di Janáček, che gioca su risonanze debussiane, è stato trasportato anch’esso in atmosfera romantica, e con scintillante virtuosismo.
Per cui si arriva a Bach. Si può trasportare anche Bach in atmosfera schumaniana? E perché no. Ci tocca per forza subire i visi pallidi di scuola anglo-olandese? Se esistessero più antipodi, direi che Anderszewski è a uguale distanza (tanta) sia da Gustav Leonhardt che da Glenn Gould e Rosalyn Tureck.
Mentre suonava la suite inglese, mi chiedevo a chi avvicinarlo. All’inizio ho pensato al Bach di Dinu Lipatti (quel poco che è rimasto). Ma poi, quando è arrivato alle due Gavotte e alla Giga, mi sono formato un’altra idea: Artur Rubinstein. Il problema è che Bach non c’era, nel repertorio di Rubinstein: ma ecco, sono certo che questo sarebbe stato il Bach di Rubinstein.
Commenti recenti