Ho due accounts su Twitter. Il primo è già stato bannato dal gesuita Spadaro, dopo che gli avevo nominato Mons.Viganò. Il secondo cercavo di proteggerlo, ma oggi non ho potuto trattenermi, quando ho visto il tweet nel quale si stigmatizzava l’astensione sulla commissione Segre. Come dimenticare, a proposito di Shoah, Chi si astenne nell’ottobre 1943? Adesso attendo che la Santa Inquisizione bruci il mio tweet, che a ogni buon conto ho salvato:
The Age of Surveillance Capitalism
“ownership of the new means of behavioral modification eclipses ownership of the means of production as the fountainhead of capitalist wealth and power in the twenty-first century.”
Shoshana Zuboff, 2019
“If it’s free, you’re probably the product”
Il gesuita e il pudore
Antonio Spadaro, gesuita e, si dice, principale suggeritore del vecchio papa (the old man is a bit gaga) è fine intellettuale. Non per nulla dirige la famigerata Civiltà Cattolica.
Da questa, l’incipit di un articolo sul critico letterario Harold Bloom, recentemente scomparso, dà il senso di cosa sia un gesuita, oggi:
Il 14 ottobre è scomparso Harold Bloom, docente presso l’Università di Yale, e uno tra i maggiori critici letterari statunitensi; forse anche il più noto, grazie anche alla redazione di un «canone occidentale».
Il termine «canone» in letteratura ha assun7to vari significati, ma comunemente sta a indicare i libri che «fanno testo», cioè quell’elenco di volumi considerati come imprescindibili per la loro importanza. Per la letteratura italiana, ad esempio, opere come la Commedia dantesca o i Promessi Sposi sono considerate appunto «canoniche», tanto che si studiano sui banchi di scuola assieme a tanti altri testi considerati, a torto o a ragione, più o meno «canonici». Sostanzialmente in Italia il concetto di canone in letteratura è mediato dai libri di testo delle scuole medie superiori: basta scorrere e comparare qualche indice per compilare il canone della nostra storia letteraria. Nella tradizione culturale del nostro Paese infatti sono ben solide le radici storicistiche. Esse hanno influito non poco nell’elaborazione dei curricoli scolastici e accademici e hanno contrastato la diffusione di impostazioni critiche (il formalismo, per citare forse il caso più vistoso) che prescindono sostanzialmente dall’impostazione storica. Era difficile, fino a poco tempo fa, mettere in discussione la stessa categoria di «storia letteraria».
Si è parlato spesso a questo proposito della scuola italiana (compresi i suoi libri di testo) come in prevalenza forgiata da una filosofia didattica di impianto sostanzialmente ottocentesco-risorgimentale (e anti-ecclesiastico) finalizzata alla costruzione del futuro cittadino, una filosofia cioè secondo la quale la letteratura deve essere un serbatoio di valori civili. In tal modo sono stati praticamente espulsi dal «canone» delle patrie lettere gli scrittori «corporei» tacciati di oscenità (Pietro Aretino, ad esempio) e gli scrittori «mistici» (Caterina da Siena, ad esempio) per il loro estremismo. Il canone ha dunque il diritto di «seppellire» l’opera di poeti che sono destinati ad essere ricordati soltanto dagli specialisti o dagli appassionati?
Allora: tutta la costruzione logica intorno ai termini “canone” e “canonico” serve, con ogni evidenza, a evitare l’accostamento all’Indice dei libri proibiti (si noti il pudico “espulsi dal canone“: qualunque laico avrebbe detto “messi all’indice”). E fin qui la prima caratteristica del gesuitismo: evitare, con manovre avvolgenti, verità imbarazzanti, mostrandone una versione presentabile. Ma la citazione dell’Aretino mostra anche l’altra caratteristica: la spudoratezza. I libri dell’Aretino erano all’indice.
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