Prima premessa: Secondo molti, nelle sonate per violino e pianoforte di Beethoven il piano ha ruolo paritario. Naturalmente non è vero: sono sonate per violino, con un accompagnamento che è più importante che in omologhe sonate di altri compositori.
Seconda premessa: secondo alcuni, l’unico violinista dall’intonazione perfetta fu Yehudi Menuhin, e neanche per tutta la vita, ma solo prima della nevrosi, che gli occorse piuttosto presto. Tutti gli altri, compreso il Menuhin maturo, hanno difetti di intonazione.
Necessarie premesse al commento sul concerto di Francesca Dego e di altra Francesca, nell’ambito del ciclo completo delle sonate di Beethoven all’Auditorium di Milano. Per doverosa decenza, non commenterò la prestazione della Francesca pianista. Dirò solo che tale prestazione è un’attenuante alle colpe della Dego, perché appoggiarsi su una parte pianistica del genere limita il rendimento di qualunque violinista.
Ciò posto, occorre riconoscere che l’iniziativa della Verdi (la società dell’Auditorium) appare in linea con la crisi finanziaria che la attraversa. La Dego non è all’altezza, e non ha neppure preparato con la dovuta attenzione e reverenza queste sonate. I difetti di intonazione sono palpabili (specie sulle prime due corde) e l’aridità espressiva è totale e totalizzante. Aggiungasi che permane quel difetto che sottolineavo nel primo post, ossia carenza di volume. Allora lo attribuivo al piccolo Guarneri, ma allora c’era l’orchestra. Qui c’era solo un pianoforte, sia pure pestato come da un fabbro ferraio. Molto male la Sonata n.6, meglio la n.8 nel finale virtuosistico (sappiamo che la Dego è veloce con l’archetto e le dita), a luci e ombre (queste ultime prevalenti) la n.10. Il bis paganiniano, di gran lunga la cosa migliore, confermava l’ipotesi che, con una adeguata preparazione, la Dego possa dare di più.
Il pubblico era scarsissimo, come si conviene a un evento del genere. La violinista, con corsa da gazzella, si presentava all’uscita per intercettare il pubblico, e autografare improbabili acquisti di un suo CD.
Riecco la Signorina Dego
Ma che brutto suono, signorina Dego
All’Auditorium di Milano, concerto diretto da Jader Bignamini. Ho già scritto sull’involuzione dell’orchestra, che sente la lontananza di Riccardo Chailly. Gli archi sono imprecisi e sciatti. Un po’ meglio, a sorpresa, i fiati. Ottoni e percussioni come te li aspetti in un’orchestra italiana, e non è un complimento. Maestro in trance…viene da dire: agonistica. Questo per Rossini e Respighi. Una noia mortale.
Per Paganini, c’è Francesca Dego. Che sia una virtuosa, è indubbio. Ha in mano un Guarneri piuttosto piccolo, con un cantino assai bello. Questo per dire che, quanto a strumento, non può lamentarsi. Ma il suono che ne cava non va bene. Difetti sensibili di intonazione, lungo tutto il Concerto n.1 e due bis, pure paganiniani. Quello che mi disturba, però, è l’incapacità di generare volume, e quindi di agire sulla dinamica. Sarà che uno ha nell’orecchio Heifetz, Stern e Milstein.
Paragoni ingenerosi. Ma il pubblico è entusiasta. E’ giovane, bella, bionda e lecchese.
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