Archive for luglio, 2022

27 luglio 2022

Altra dichiarazione

Nella precedente, facevo una similitudine con il CLN. Oggi l’ing.De Benedetti, che si preoccupa delle sorti d’Italia ma non paga le tasse in Italia, ha detto, o, per meglio dire, fatto scrivere al Corriere che lui ha detto:

«dobbiamo entrare in una logica di Cln. Nel Comitato di liberazione nazionale c’erano tutti, comunisti e monarchici, azionisti e cattolici: perché bisognava combattere un nemico comune, Mussolini». Ingegnere, oggi in Italia non c’è Mussolini.

«Certo che no. La storia non si ripete mai due volte. La Meloni e Salvini non ci metterebbero in camicia nera. Ma metterebbero a rischio la democrazia, l’Europa, i nostri valori. E isolerebbero l’Italia. Proprio come fece Mussolini»

Il problema della similitudine col CLN è che la “L” significa “liberazione”. E liberazione da chi? Da chi detiene il potere. Meglio ancora: da chi ha occupato il potere. Ora, io so che l’ing.De Benedetti ha una certa età, e potrebbe non ricordare bene i fatti recenti. Qualcuno dovrebbe aiutarlo, ricordandogli quale partito ha sempre (eccetto per un anno) fatto parte della maggioranza o addirittura del governo, pur essendo minoritario, nell’ultimo decennio.

Mentre l’Ingegnere si documenta, io mantengo la mia dichiarazione riguardo al CLN, e posso renderla più concreta, in modo da distinguerla da quella di De Benedetti: voterò il partito meno amico del PD. Questa decisione è già presa. La scelta avverrà nell’insonne notte del 24 settembre.

23 luglio 2022

S’il veulent de la merde, en voilà !

Vista e sentita (“ascoltata” mi parrebbe troppo) la Carmen dell’Arena di Verona, benevolmente distribuita al popolo da Raitre. Credo che Bizet avrebbe esteso la sua celebre battuta a tutta l’esecuzione, non alla sola aria del Toreador.

Due precisazioni: 1) ho retto solo il primo atto; non vorrei che nel secondo gli interpreti avessero fatto faville. 2) fastidiosa, oltre all’interpretazione, la presa di suono. Capisco che è un teatro all’aperto, ma so anche che non è la prima volta che ci va la televisione, e in precedenza la radio. Sono costretto a pensare che i tecnici RAI siano svogliati.

Post Scriptum. Nella parte di Micaela canta una gentil signora dai mezzi vocali scarsi. E va bene: siamo rassegnati a questo. Ma almeno il physique du rôle si potrebbe pretendere. È un po’ tardi, trattandosi di una registrazione di anni fa, ma mi piacerebbe recapitare alla signora le foto di Maria Callas prima e dopo la cura dimagrante. È ben vero che si dice abbia perso qualcosa in fatto di timbro vocale, con quella dieta: ma l’odierna Micaela, che cavolo ha da perdere?

22 luglio 2022

Nella supposizione, credo fondata, che presto qualche Winston Smith cancelli o modifichi tutti gli archivi, metto qui due prime pagine, di apertura e di chiusura del decennio. Segue una favolosa slinguazzata, che, invece, nessun Winston Smith avrà mai l’ordine di cancellare o modificare.

17 luglio 2022

Una domanda ragionevole

Nel recente passato ho più volte citato Travaglio, scusandomi, prima di tutto con me stesso, per trovarmi spesso d’accordo con lui. Naturalmente, la colpa di questa convergenza era degli altri, principalmemnte Draghi e i suoi salivanti estimatori. Non avevo naturalmente dimenticato che Travaglio è il suggeritore di Conte, per cui era chiaro che il pezzo di strada assieme sarebbe stato breve. Infatti, siamo arrivati al termine, qualunque cosa succeda nelle istituzioni. Tuttavia, mi sia concesso di concordare un’ultima volta con il direttore del Fatto. La sua domanda è ragionevole:

Resta da capire un piccolo dettaglio: se i 5Stelle sono da sempre “nel caos”, “incompetenti” e ovviamente “morti”, perché gli altri, che finalmente hanno i numeri per buttarli fuori, non fanno un governo senza di loro e ci salvano da quella terrificante peste bubbonica?

13 luglio 2022

Pensiamoci un po’

Quando si solleva il tema della crisi della democrazia in Occidente, con fastidiosa frequenza l’eventuale interlocutore ostile, quanto più si approssima alla fine dei propri argomenti, tanto più è incline a sbottare con un “Ma allora perché non te ne vai in… (segue nome di una qualche proverbiale ‘dittatura’; Russia, Cina, Iran, ecc.).

Questo è uno di quei casi in cui la stupidità della replica è talmente robusta che c’è il serio rischio ci lasci tramortiti.

Affinché il tramortimento non sia preso per efficacia dell’argomentazione, è utile replicare con calma per iscritto.

1) Innanzitutto, e a futura memoria: tutti gli stati che proverbialmente vengono definiti dal mainstream come dittature – in quanto estranei al blocco dei protettorati americani in occidente – sono formalmente democrazie non meno di quanto lo siano la Francia o gli USA o l’Italia: ci sono governi eletti dal popolo in Iran non meno che in Russia o in Cina.
Poi certo, a questo carattere formalmente democratico non fa riscontro una realtà DAVVERO democratica, e ciò accade per vari motivi, e specificamente: a) per lo strapotere di alcune oligarchie politiche o economiche o teocratiche; b) per i severi limiti di cui soffre la libertà di stampa; c) per il condizionamento politico della magistratura.
Solo che a questo punto, chiunque ritenga di condannare quegli stati come autoritari (e personalmente io li considero tali) dovrebbe avviare qualche seria riflessione sull’eventualità che oligarchie, stampa e magistratura non siano ESATTAMENTE ALTRETTANTO COMPROMESSE nei maggiori stati occidentali di quanto lo siano nelle proverbiali ‘dittature’. (Quanto all’Italia solo un cieco potrebbe nutrire dubbi).

2) L’argomento “se non ti piace qui te ne puoi sempre andare” è una classica applicazione della logica liberale di mercato alla politica. L’idea dei liberali è che i paesi sono come compagnie aeree: se non ti piace il catering o il servizio bagagli cambia compagnia. Così come l’elettrodomestico guasto non si ripara, si butta, così vale anche per la patria inadempiente.
Questo è uno di quei punti su cui purtroppo gli argomenti arrivano ad un termine. Per chi vive le proprie relazioni con il mondo come se esso fosse un servizio a noleggio, la forma di vita di chi ha con il proprio mondo delle relazioni di appartenenza non può che risultare incomprensibile. Qui si è posti di fronte ad una differenza antropologica e chi si pensa come un turista del mondo è per chi desidera coltivare e migliorare il proprio mondo sempre semplicemente una minaccia e un pericolo.

3) Il terzo e ultimo argomento è forse quello decisivo. Premesso che governi autoritari sono frequenti e ubiqui tanto nei confini dell’impero americano che al di fuori di esso, c’è tuttavia un punto di discrimine che va ben compreso. Spesso chi difende il modello liberaldemocratico, anche quando manifesta tratti pesantemente autoritari, lo fa immaginando che comunque nelle liberaldemocrazie si è molto distanti dal modello personalistico tipico delle dittature, dove l’esercizio della forza autoritaria si incarna spesso in figure specifiche, in personalità. Non ci sono un Putin o uno Xi Jinping o un Fidel Castro in Europa o in America. In occidente il potere sembra liquido, impersonale e perciò sembra meno oppressivo.
E questo è un errore profondo, un errore che deriva da un atavismo psicologico, ma che inverte il senso degli eventi.
L’atavismo psicologico qui è l’identificazione dell’esercizio del potere subordinante nella forma di una personalità autoritaria (il “padre padrone”), verso cui si possono concentrare l’odio e il timore. Quando, come avviene in occidente, il potere non presenta questo aspetto, psicologicamente in molti hanno l’impressione di una ridotta oppressione. Dopo tutto un Draghi o un Biden non hanno certo un potere personale comparabile ad un Putin.
E questo è vero, e a comprenderlo bene, è un elemento latore di profonda angoscia.
Noi infatti possiamo immaginare che ad un autocrate “cattivo” subentrerà un autocrate “buono”, ad uno guerrafondaio uno pacifista, ad uno rozzo uno colto, ecc., ma nel nostro sistema sappiamo che il sistema oppressivo è immensamente resiliente, flessibile, e perciò stabile come solo i muri di gomma sanno essere.

La Russia dipende dalla salute e dalla lucidità di Putin, gli USA non dipendono da quella di Biden, né noi da quella di Draghi. Qui nessuno è indispensabile, anzi nessuno è importante, perché il sistema procede con un pilota automatico che nessuno domina, e che può perseverare nell’errore, qualunque errore, all’infinito.

Il carattere anonimo delle oligarchie tecnocratico-finanziarie le rende immensamente più pericolose di qualunque autocrazia classica (O’Brian non è malvagio quando porta Winston alla stanza 101: O’Brian è semplicemente fungente, ed è sostituibile da qualunque funzionario del Ministero dell’Amore).

Un tempo la promessa del sistema era che buone istituzioni sarebbero state capaci di riprodurre la virtù senza bisogno di personalismi.

La realtà odierna del sistema è che cattive istituzioni (il blocco tecnocratico e finanziario a guida americana) è in grado di riprodurre il male ed il vizio senza che il venir meno di questo o quel volto faccia la benché minima differenza.

(Andrea Zhok)

12 luglio 2022

Giornali

Per capire come siamo ridotti, nulla di meglio di M.Guerzoni che descrive la laboriosa giornata del Duce. L’idea rimane quella di “sorge il sole, canta il gallo, Draghi monta a cavallo”, ma la proscrittrice del Corriere della Serxa si inventa una cosa originale: la metafora calcistica.

L’importante è un’abbondante salivazione.

ROMA In una delle giornate più lunghe e complesse dall’inizio del suo mandato a Palazzo Chigi, Mario Draghi ha trovato il tempo di scrivere a Marco Tardelli e ai «cari Campioni dell’82». Sono passati quattro decenni dal trionfo ai Mondiali di Spagna e quella nazionale di calcio «continua a ispirare tutti noi per la sua compattezza, il gioco di squadra, la sincerità delle amicizie». Parole che, per contrasto, rivelano lo stato d’animo con cui il coach del governo di unità nazionale è salito alle sette di ieri sera al Quirinale, per un confronto fuori agenda con il presidente Sergio Mattarella.

Il clima elettorale ha disgregato ogni parvenza di gioco di squadra. Il Movimento di Conte si è messo in fuorigioco e Berlusconi, in asse con Salvini, vuole la «verifica di maggioranza». Eppure Draghi non molla, perché nonostante le fortissime tensioni elettorali dei partiti e tra i partiti, resta convinto che l’Italia, scossa dalla pandemia, dalle conseguenze della guerra in Ucraina e dall’inflazione che galoppa, abbia ancora bisogno del suo governo. «Grande compattezza e serenità» è la linea comunicativa di Palazzo Chigi, dove si descrive un presidente «impegnato nell’agire» e determinato a completare la sua missione. E dove si lavora per allontanare, anche a parole, i venti di una possibile crisi: «Draghi è immerso nei dossier. Le dimissioni non sono un’ipotesi». E se i 5 Stelle non voteranno la fiducia al Senato sul decreto Aiuti e usciranno dalla maggioranza? «Sarebbe un fatto politico rilevante», ammettono a Palazzo Chigi. Mattarella potrebbe rinviare il premier alle Camere per verificare se c’è ancora una maggioranza, «ma non è detto che ci si arrivi».

Nello studio di Mario Draghi per tutto il giorno è un via vai di ministri, tecnici e collaboratori. Alle 11 bussa Daniele Franco. Il ministro dell’Economia, in partenza per Bruxelles, deve riferire al presidente le priorità dell’Eurogruppo e impostare, in soldoni, i numeri dell’incontro con i sindacati. C’è anche il tempo per confermare il no al «corposo» scostamento di bilancio invocato da Conte e le (forti) perplessità su ogni ipotesi di condono fiscale. Per Renato Brunetta, che ha contribuito a istruire la pratica su salari e potere d’acquisto, il vertice di oggi con Landini, Sbarra e Bombardieri «è un passaggio chiave, perché un buon patto sociale può salvare l’Italia e anche il governo».

Sono le 14.30 del pomeriggio quando la nota di Silvio Berlusconi che invoca la verifica di maggioranza comincia a rimbalzare sui siti. Lo staff di Draghi si interroga: assist, o calcio negli stinchi? Mezz’ora dopo arriva Roberto Speranza e informa il premier che la circolare che recepisce il via libera dell’Ema alla quarta dose per gli over 60 «è pronta, a tempo di record». Esce il responsabile della Salute ed entra la Guardasigilli, Marta Cartabia. La ministra della Giustizia, accompagnata dal capo di Gabinetto Raffaele Piccirillo, illustra al presidente gli esiti dei lavori della commissione sui crimini internazionali.

[…]

Draghi insomma non si ferma e fa sua la filosofia del presidente Mattarella: «Inutile parlare oggi di cosa faranno i 5 Stelle al Senato, se non voteranno il decreto Aiuti giovedì affronteremo il problema». Con parole simili il premier risponde a chi lo chiama. Antonio Tajani ad esempio, che dopo il colloquio telefonico descrive Draghi «fortemente impegnato a risolvere i problemi», dal Pnrr alle riforme, dalle conseguenze della guerra alla manovra economica. Problemi reali, che hanno un impatto forte sulla vita degli italiani e ai quali il presidente del Consiglio fortissimamente vuole fornire, con i tempi delle emergenze, le risposte giuste. E guai a parlargli di verifiche e rimpasti di governo, perché Draghi li ritiene esercizi antichi e politicamente assai rischiosi.

A spingerlo sul Colle con tre giorni di anticipo rispetto al possibile strappo di Conte è stata la mossa di Berlusconi. Ai fedelissimi del premier appare chiaro che a ispirarla sia stato Salvini, in asse con i forzisti come Ronzulli che guardano alla Lega. «La verifica è uno stato di pre-crisi — è la lettura di un ministro —. E chiedere un rimpasto vuol dire mettere il premier con le spalle al muro». Alle 18.50, bruciando i tempi rispetto alla giornata cruciale di giovedì, l’ex presidente della Bce lascia in auto piazza Colonna e sale al Quirinale. L’intesa con Mattarella, diranno i collaboratori alla fine dell’incontro durato una quarantina di minuti, «resta fortissima». Il colloquio inizia con il capo dello Stato che racconta il viaggio in Mozambico e Zambia e finisce con il dilemma del governo: come convincere il M5S di Conte a restare? Basterà l’agenda sociale a cui il premier sta lavorando? I due presidenti ovviamente ne parlano, ma concordano un patto di riservatezza. E domani, dopo i leader sindacali, Draghi vedrà gli imprenditori.

6 luglio 2022

Lo ha suggerito il Copasir

trasformare il nostro paese nell’hub energetico europeo e provare – anche grazie al sostegno degli Stati Uniti – a indossare nel Mediterraneo quel ruolo di mediatore che paesi come la Germania, indeboliti dalla guerra in Ucraina, difficilmente potranno ancora avere in futuro. Il programma è vasto, presenta incognite, maè lì a ricordarci, come suggerito dal Copasir a fine aprile nella relazione sulle conseguenze del conflitto in Ucraina, che “la crisi, se affrontata con determinazione e consapevolezza, può persino diventare per l’italia una straordinaria opportunità”.

Uno dice: cazzate. Ma poi vede che la firma è di Cerasa, e il giudizio si fa meno severo.

2 luglio 2022

I Grandi