Archive for giugno, 2021

29 giugno 2021

Delizioso

19 giugno 2021

Ahi ahi, Topo.

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16 giugno 2021

Guarda qua, Topo: alcuni animali sono più uguali degli altri

Che altro deve accadere perché Conte voli a Torino e convinca l’ottima sindaca Appendino a ricandidarsi? È vero, è stata condannata in primo grado. Ma non per aver truccato una gara: per una disgrazia causata da una gang di rapinatori. Mai come oggi i cittadini hanno bisogno di figure oneste, collaudate e rassicuranti, non di fumisterie.” (*)

Ecco, Topo. La frenesia che possiede i portabandiera dell’Honestah si è mangiata la coda. Dopo avere eletto il Codice Penale a unica guida ideologica, dopo essere arrivati a sostenere che uno vale uno, basta che siano honestih (vengono fuori Toninelli, Azzolina, Di Maio ministri) piano piano, di slittamento in slittamento, di regola abbattuta in regola abbattuta (**) si arriva naturalmente al paradosso: che l’omicidio è meno grave del furto. Nonostante il Codice Penale dica il contrario.

(*) Marco Travaglio, dall’editoriale odierno del Fatto

(**) Sembra la Fattoria degli Animali. Sarebbe utile che tu aggiungessi questo quarto libro alla tua bibliotechina.

12 giugno 2021

Evgeni (da guardare su YouTube)

12 giugno 2021

Rosalyn

12 giugno 2021

Glenn

12 giugno 2021

Wanda

10 giugno 2021

Ecco, Topo. Prova a capire

VERBANIA E LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI

Riparta da Verbania la battaglia politica per l’approvazione della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per la separazione delle carriere, firmata da 75mila cittadini e pendente in parlamento.

La delibera della Giunta UCPI sulla revoca del fascicolo al giudice Banci Buonamici.

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane

letta la delibera adottata dal Direttivo della Camera penale di Verbania in data odierna, con la quale si denuncia l’allarmante gravità del provvedimento adottato dal Presidente del Tribunale di Verbania di revoca dell’assegnazione del fascicolo relativo alla tragedia della funivia “Mottarone” alla dott.ssa Banci Buonamici, con conseguente astensione dalle udienze per il giorno 22 giugno e convocazione di una pubblica assemblea;

letta altresì la delibera delle Camere Penali di Novara, Piemonte Occidentale e Valle d’ Aosta, Vercelli, Alessandria, di adesione e sostegno alla prima;

osserva

la accurata ricostruzione delle circostanze e delle modalità nelle quali è maturata la inusitata decisione di revoca della assegnazione del fascicolo in questione, conferma senza possibilità di dubbio la inaudita gravità di questa vicenda, il cui significato non può certo essere dissimulato da implausibili formalismi burocratici.

Se fosse vero infatti che la qualità in capo alla dott.ssa Banci Buonamici di Giudice supplente della dott.ssa Ceriotti, originaria destinataria della assegnazione del fascicolo, basti a legittimare quella decisione, essa avrebbe dovuto allora accompagnarsi, prima e dopo, con decine se non centinaia di altri identici provvedimenti relativi a tutti gli altri fascicoli che, per le medesime ragioni di indisponibilità della dott.ssa Ceriotti, sono stati assegnati ad altri GIP parimenti in funzione di giudici “supplenti”.

Non solo invece quella relativa alla tragedia della funivia risulta ad oggi l’unico fascicolo in riassegnazione, ma è altresì vero che questa decisione, incredibilmente adottata -tramite Cancelleria!- nella fisica imminenza del deposito di una ordinanza di accoglimento di una istanza difensiva di incidente probatorio avversata dalla Procura, risulta inspiegabilmente violativa di un esplicito accordo in precedenza raggiunto tra la Presidenza del Tribunale, la Camera Penale ed il C.O.A. di Verbania. Con esso si conveniva -esattamente a proposito delle necessitate “supplenze” verso la dott.ssa Ceriotti- che esse avrebbero assunto carattere di definitività, per ovvie esigenze di razionalizzazione gestionale del carico dei procedimenti.

Il Re, dunque, è nudo, e se in questo Paese fosse ancora necessario avere conferma della improcrastinabile necessità di operare, da subito, per una riforma costituzionale che separi le carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, la clamorosa vicenda di Verbania ha assolto definitivamente questo compito.

Mentre infatti risulta da nessuno smentita la notizia, ripetutamente diffusa dai media pubblici e privati, di un diretto intervento del Procuratore Generale di Torino sul Presidente del Tribunale di Verbania per la rimozione da quella inchiesta di un Giudice coraggiosamente indipendente dall’Ufficio di Procura come la dott.ssa Banci Bonamici, siamo assolutamente persuasi che, in ogni caso, quella notizia sia purtroppo straordinariamente verosimile.

La comune appartenenza di Pubblici Ministeri e Giudici al medesimo ordine, al medesimo organo di autogoverno, alla medesima rappresentanza associativa, ai medesimi percorsi professionali, consente ai primi di esercitare, grazie alla natura eminentemente politica e fortemente mediatica dell’attività inquirente, una supremazia ed una forza di condizionamento degli uffici giudicanti scandalose e non più oltre tollerabili.

Un Paese nel quale può accadere ciò che accade a Verbania, e cioè che un Giudice che adotta decisioni sgradite all’Accusa venga bruscamente eliminato dallo scenario processuale, è un Paese che calpesta la Costituzione, con una protervia ed un sentimento di impunità che lascia sbalorditi. Invitiamo il Governo, la Ministra Cartabia e tutti i Parlamentari che abbiano a cuore i valori costituzionali del giusto processo, ad acquisire definitiva consapevolezza di questa allarmante emergenza, e dunque a rilanciare il percorso della proposta di legge di iniziativa popolare dell’UCPI, firmata da 75mila cittadini e attualmente ferma avanti la Commissione Affari Costituzionali della Camera. Quella è la strada maestra, senza -occorre dirlo con molta chiarezza- illusorie scorciatoie referendarie che, sotto la nominale evocazione di quella epocale ed improcrastinabile riforma propongono poco più che un blando rafforzamento della separazione delle funzioni, da sempre specchietto per le allodole dei più strenui ed attrezzati oppositori della sola riforma risolutiva, necessaria ed indispensabile: la riforma costituzionale dell’ordinamento giudiziario italiano.

Tanto premesso, la Giunta UCPI

-esprime incondizionato consenso e sostegno alla iniziativa di denuncia e di protesta assunta dalla Camera Penale di Verbania, insieme a quella di tutte le altre Camere Penali del Piemonte;

– manifesta piena solidarietà, umana e professionale, al Giudice dott.ssa Banci Buonamici, e profonda ammirazione per la manifestata sua indipendenza di pensiero e di giudizio;

-rivolge a tutti gli avvocati italiani l’invito a manifestare in ogni forma, sui social e nelle proprie camere penali, il sostegno ai penalisti di Verbania e del Piemonte Occidentale, ed a convergere numerosi a Verbania il giorno 22 giugno 2021, perché da quel Foro si rilanci con forza la grande battaglia dell’U.C.P.I. per l’approvazione della legge costituzionale di iniziativa popolare per la separazione delle carriere nella Magistratura.

La Giunta

Roma, 8 giugno 2021

7 giugno 2021

Chi ha paura della libertà di espressione?

Manifesto della Libera Parola

Felici i tempi in cui puoi provare i sentimenti che vuoi, 
e ti è lecito dire i sentimenti che provi
(Tacito)

Io sono responsabile di quello che dico, non di quello che capisci tu
(Massimo Troisi)

1 – C’è stato un tempo in cui la censura era di destra e la libertà di espressione era di sinistra.
Era logico, perché la cultura dominante era conservatrice, autoritaria, e un po’ bigotta. I film di Pasolini erano considerati pornografia, e un letterato come Aldo Braibanti poteva essere condannato e imprigionato per plagio, mentre il ragazzo da lui “plagiato” poteva venir rinchiuso in manicomio e sottoposto a elettroshock. Era anche il tempo in cui, per gli omosessuali, uscire allo scoperto richiedeva coraggio, molto coraggio. Un coraggio che ebbero in pochi: Pier Paolo Pasolini, Paolo Poli, Angelo Pezzana, e non molti altri.
In quel tempo, che si prolunga fin verso la metà degli anni ’70, la sinistra ufficiale è ancora guardinga, ma l’intelligentia progressista si schiera risolutamente dalla parte della libertà di espressione in tutti i campi: cinema, arte, teatro, stampa, vita privata. I maggiori scrittori, artisti e intellettuali dell’epoca sono quasi tutti dalla parte di Aldo Braibanti, impegnati contro la censura e contro il reato di plagio.

2 – Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, anche grazie al femminismo e alle lotte sull’aborto e i diritti LGBT, le cose cominciano a cambiare. La cultura dominante non è più né bigotta, né conservatrice. Nel 1978 passa la legge sull’aborto, nel 1981 viene abolito il reato di plagio, nel 1982 viene approvata la prima legge che consente il cambiamento di sesso. La stagione delle lotte sociali cede il passo a quella dei diritti civili, le idee progressiste penetrano sempre più nella coscienza collettiva.
E’ in quegli anni che, anche in Italia, prima in modo appena avvertibile, poi in modi sempre più massicci e pervasivi, prendono piede i principi del politicamente corretto.
Essere progressisti comincia a significare, per molti, farsi legislatori del linguaggio. Parte una furia nominalistica che, con ogni sorta di eufemismo e neologismo, si premura di stabilire come dobbiamo chiamare le cose e le persone, in totale spregio del linguaggio e della sensibilità della gente comune.
Solo Natalia Ginzburg, dalle colonne della Stampa prima e dell’Unità poi, avverte del pericolo, con due bellissimi articoli che denunciano l’ipocrisia, e la sopraffazione verso il comune sentire dei ceti popolari, implicite nella pretesa di imporci come dobbiamo parlare e pensare.
Ci troviamo così circondati di parole che non sono nate dal nostro vivo pensiero, ma sono state fabbricate artificialmente con motivazioni ipocrite, per opera di una società che fa sfoggio e crede con esse di aver mutato e risanato il mondo (…).
Così accade che la gente abbia un linguaggio suo, un linguaggio dove gli spazzini sono spazzini e i ciechi sono ciechi, e però trovi quotidianamente intorno a sé un linguaggio artificioso, e se apre un giornale non incontra il proprio linguaggio ma l’altro. Un linguaggio artificioso, cadaverico, fatto di quelle che Wittgenstein chiamava parole-cadaveri. Per docilità, per ubbidienza – la gente è spesso ubbidiente e docile – ci si studia di adoperare quei cadaveri di parole quando si parla in pubblico o comunque a voce alta, e il nostro vero linguaggio lo conserviamo dentro di noi clandestino.  Sembra un problema insignificante ma non lo è. Il linguaggio delle parole-cadaveri ha contribuito a creare una distanza incolmabile fra il vivo pensiero della gente e la società pubblica. Toccherebbe agli intellettuali sgomberare il suolo da tutte queste parole-cadaveri, seppellirle e fare in modo che sui giornali e nella vita pubblica riappaiano le parole della realtà.
Ma le preoccupazioni della Ginzburg cadono nel vuoto. Ormai il politicamente corretto ha iniziato la sua colonizzazione di tutti i gangli della società. Scuole, università, giornali, istituzioni, associazioni professionali, agenzie pubblicitarie, case editrici, reti radio e tv, aziende private, e negli ultimi tempi gli stessi giganti del web, fanno propri i principi della nuova religione della parola, imponendo codici linguistici e sorvegliando il loro rispetto.

3 – Parallelamente, si moltiplicano le richieste di essere messi al riparo da ogni espressione di idee, sentimenti, convinzioni che possano risultare lesive di qualsiasi singola sensibilità: è l’era della suscettibilità, come la chiama Guia Soncini.
Cresce a dismisura la schiera dei “suscettibili”, dei potenzialmente offesi, di tutti coloro che si sentono vittime di un odio, o anche solo di una trascuratezza o maleducazione, o persino di un’intenzione.
O nemmeno: si vedono intenzioni anche dove non ce ne sono. E se ne scoprono di vecchie, andando a ritroso nello spazio e nel tempo. Le opere d’arte del passato vengono sottomesse ai raggi X delle odierne sensibilità, e spesso tagliate, edulcorate o ritirate dalla circolazione. E’ il trionfo della cancel culture, che pretende di togliere dalla vista qualsiasi opera o manifestazione del pensiero che, con la sensibilità di oggi, possa apparire offensiva per qualcuno. Ed è la Caporetto della satira e dell’ironia, forme del discorso che per essere intese richiedono troppa intelligenza e distacco.

4 – Accade così che l’opposizione al politicamente corretto, troppo costosa e sconveniente negli spazi pubblici ufficiali e nell’interazione face to face, trovi solo sui social lo spazio in cui manifestarsi liberamente, per giunta con la protezione di un presunto anonimato. Ma sui social l’opposizione diventa puro sfogo, i pensieri si immiseriscono in brevi formule ad effetto, le parole si colorano di odio. Trionfano insulti e volgarità, proliferano haters e leoni da tastiera. Tutto questo incendia ancor più gli animi benpensanti dei nuovi progressisti, e finisce per esasperare il politicamente corretto. In un circolo vizioso inarrestabile.
Eppure dovrebbe essere chiaro: i cattivi sentimenti che dilagano sui social sono anche mutazioni, varianti più aggressive (e più trasmissibili!) del dissenso. Se chi non è in sintonia con i canoni del politicamente corretto viene sistematicamente squalificato, delegittimato e sanzionato nei luoghi “seri”, è possibile che una parte di quel medesimo dissenso cambi non solo luogo, ma anche natura, trasformandosi in odio, disprezzo, rivalsa, aggressività.  Odio e disprezzo peraltro ricambiati dai custodi del Bene, ai quali spesso risulta difficile non vedere gli avversari come mostri, destituiti di ogni umanità.

5 – In ogni ambiente si crea un clima di sospetto e paura. Si teme di dire la parola sbagliata, fraintendibile, ambigua: in ogni caso, al di là delle intenzioni effettive, offensiva. O anche solo non in linea, non conforme: quindi non accettabile. E si avvia, più o meno inconsapevolmente, un processo di censura preventiva delle proprie idee e delle proprie parole.
Non solo l’informazione (giornali e tivù) si muove con questa circospezione, ma anche l’arte, da sempre per definizione espressione di libertà. Le nuove opere (in letteratura, teatro, cinema, arte figurativa) si formano in un clima di autocensura, in cui la prima preoccupazione degli autori è schivare ogni possibile accusa di offensività o scorrettezza politica. Così, accanto alla massa delle opere prodotte effettivamente, cresce quella delle opere che non si sono prodotte, e forse neppure pensate, per timore dei nuovi conformismi.
L’impegno diventa una condizione necessaria: cessa di essere una delle tante possibilità dell’arte, per diventare l’arma impropria che assicura un vantaggio (e uno scudo) a chi lo pratica e lo ostenta. Il confronto e lo scontro pubblico – aperto e leale – fra concezioni e sensibilità opposte, diventa semplicemente impossibile.

6 – In questo clima la libertà di espressione declina non tanto perché le suscettibilità offese possono ricorrere alla magistratura, naturalmente sensibile allo spirito del tempo, per punire ogni manifestazione giudicata lesiva della propria sensibilità, autostima, reputazione, onorabilità; ma perché sono le stesse istituzioni pubbliche e private a provvedere motu proprio a sanzionare i reprobi, senza aspettare la condanna della magistratura, sulla sola base della violazione di codici aziendali o etici più o meno espliciti. Al posto della censura classica e pubblica (ma ancora fatta da persone in carne e ossa), che ritira i libri e vieta ai minorenni i film scabrosi, si installa un nuovo tipo di censura, tecnologica e privata, non di rado fondata su algoritmi e programmi di intelligenza artificiale, incaricati di scovare ogni contenuto o parola potenzialmente lesiva di qualche principio etico assoluto, o di qualche sensibilità – individuale o di gruppo – giudicata degna di protezione. Con un esito paradossale: i codici etici, indispensabili a qualsiasi soggetto che svolga attività di interesse pubblico, rischiano di trasformarsi in strumenti di censura, o di imposizione delle visioni del mondo dominanti.
Il nuovo clima, vagamente inquisitorio e intimidatorio, non tocca solo scrittori, registi, professori, giornalisti, utenti di internet, ma finisce per inquinare le stesse relazioni faccia a faccia tra le persone, a partire dai giovani e dagli studenti. Lo ha denunciato con forza la femminista libertaria Nadine Strossen:
Gli studenti hanno paura persino di discutere argomenti importanti e delicati come quelli del razzismo, della violenza sessuale e dell’immigrazione, per timore di essere fraintesi, di dire involontariamente qualcosa che possa essere considerato “insensibile” (o peggio), e di diventare oggetto di azioni punitive – che possono andare dal linciaggio sui social alla perdita di opportunità di lavoro. Per troppi giovani negli Stati Uniti sono state ritirate le ammissioni al college a causa di isolati post sui social pubblicati quando erano adolescenti. In breve, temo per la “cancellazione” delle opportunità future, così come dell’attuale libertà di espressione, proprio in nome delle persone oggi più impotenti e vulnerabili.
Anche in ambiti ben più circoscritti e privati, ad esempio a una cena tra amici, succede che si abbia paura di parlare dei temi scottanti del momento (migranti, omofobia, sessismo). Se lo si fa, se si decide di esprimere comunque le proprie idee o anche solo usare le proprie parole in dissonanza con le idee e le parole imposte dal clima circostante, si paga un prezzo, anche molto caro: il gelo immediato degli astanti, il litigio, la rottura definitiva di legami sociali e anche affettivi, l’esclusione futura da ogni cena o incontro, nonché da eventuali rapporti di lavoro, incarichi, carriere e finanziamenti.

7Ed ecco il punto. In un’epoca nella quale l’ideologia fondamentale del mondo progressista è divenuta il politicamente corretto, e il politicamente corretto stesso è diventato il verbo dell’establishment, non stupisce che la censura di ogni espressione disallineata sia diventata una tentazione per la sinistra, e la lotta contro la censura una insperata occasione libertaria per la destra.
Ma è un errore in entrambi i casi. Silenziare, oggi, chi viola il politicamente corretto non è più nobile di quanto lo fosse, ieri, silenziare chi offendeva “il comune senso del pudore”. Le idee e gli atteggiamenti che non ci piacciono si combattono con altre idee e modi di essere, non impedendo agli altri di esprimersi.
Una società moderna, aperta e non bigotta, non può lasciare a una sola parte politica l’esclusiva della difesa della libertà di espressione. Perché la libertà non è né di destra né di sinistra, ma è il principio supremo del nostro vivere civile.

I LiberoParolisti si impegnano affinché la libertà di idee, sentimenti e parole sia sempre e ovunque salvaguardata, affermata, e difesa con forza.

Pubblicato su La Ragione del 2 giugno 2021

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6 giugno 2021

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