Archive for aprile, 2022

30 aprile 2022

Mentalità di un liberal

“Dominant influences” was a phrase, not of the Conservative-minded Times,but strangely enough of Mr. Gladstone himself, who was a member of the landed gentry and never forgot it nor ever abandoned the inborn sense that property is responsibility. He owned an estate of 7,000 acres at Hawarden with 2,500 tenants producing an annual rent roll between £10,000 and £12,000. In a letter to his grandson who would inherit it, the Great Radical urged him to regain lands lost through debt by earlier generations and restore Hawarden to its former rank as a “leading influ-ence” in the county, because, as he said, “society cannot afford to dispense with its dominant influences.” No duke could have put it better. This was exactly the sentiment of the Conservative landowners, who were his bitter-est opponents but with whom, at bottom, he shared a belief both in the “superior fitness” conferred by inherited ownership of land and in the country’s need of it. Their credo was the exact opposite of the idea prevail-ing in the more newly minted United States, that there was a peculiar extra virtue in being lowly born, that only the self-made carried the badge of ability and that men of easy circumstances were more likely than not to be stupid or wicked, if not both. The English, on the contrary, having evolved slowly through generations of government by the possessing class, assumed that prolonged retention by one family of education, comfort and social responsibility was natural nourishment of “superior fitness.”

Barbara W. Tuchman, The Proud Tower

30 aprile 2022

Agosto 1914. Oche a Parigi

29 aprile 2022

Radu Lupu

Il giorno di Pasqua ci ha lasciati Radu Lupu, ultimo rappresentante di una bella tradizione pianistica romena, che ebbe in Dinu Lipatti il più grande rappresentante. Metto qui l’Improvviso n.3 di Schubert, nelle due interpretazioni, Lupu e Lipatti. Mi pare evidente che Lupu avesse ascoltato con attenzione il suo defunto conterraneo.

La registrazione di Lupu è del 1982, il che rende le due interpretazioni opera di coetanei. Occorre dire che forse la carriera di Radu Lupu non fu in parabola ascendente, per cui meglio stare agli anni ’80.

26 aprile 2022

Zhok: il neofeudalesimo

https://sfero.me/article/la-metamorfosi-impero-e-le-sue-vittime

Qui di seguito, il paragrafo conclusivo:

 Apocalypse Now

In definitiva oggi ci troviamo in una fase di ritrazione della fase globalista dell’impero americano, che sta richiamando una parte dei propri tentacoli, per consolidarsi ed arroccarsi sulle posizioni per gli USA più facilmente difendibili dell’Occidente egemonizzato o colonizzato.

Questa fase ha ed avrà costi economici elevatissimi. Essi devono venir fatti pagare alla periferia dell’impero, in proporzione al potere contrattuale delle varie parti. Ne saranno esentati i gruppi apicali USA e minoranze scelte delle province dell’impero. I costi negli USA dovranno essere tenuti bassi, perché, come per la Roma imperiale, non ci si può permettere di avere eccessivi tassi di malcontento sotto casa. Via via che ci si allontana dal centro dell’impero verso le sue propaggini meno integrate i costi saliranno esponenzialmente, e alcuni paesi verranno semplicemente sacrificati.

In questa fase, che durerà certamente per diversi anni, il potenziale esplosivo delle proteste e dei moti di ribellione verrà tenuto a bada con la duplice leva di “alte ragioni morali” e di “doverose strette repressive”. 

Così, grazie al controllo dei media, la propaganda di volta in volta rivolta all’edificazione di un “bene superiore” esprime l’adesione ideologica positiva, quella che identifica i “buoni” e i “cattivi”. Nella cornice liberale il “bene superiore” ha tipicamente la forma di “solidarietà con le vittime”, quali che siano (recentemente siamo passati dai morti per Covid alle vittime ucraine, ma la lista è lunga). Simultaneamente, delle vittime reali di questa catastrofica trasformazione, delle popolazioni schiacciate, delle culture cancellate, dei nuovi schiavi, delle plebi emarginate e ricattate né oggi né domani sentirà parlare nessuno.

Se questa dimensione “positiva” non basta come motivante, per gli altri, per quelli che non si lasciano commuovere dai peana su commissione per le “vittime” col bollino, per questi bruti si ricorre, e si ricorrerà sempre di più, a forme repressive: minacce, rappresaglie lavorative, sanzioni, censure, divieti di manifestazione, sistemi di controllo e ricatto, ecc.

Il punto d’arrivo di questo processo, se riuscirà a dispiegare i propri effetti senza un’opposizione dura ed efficace, sarà l’abbandono integrale, anche formale, del paradigma democratico (già svuotato di fatto) e l’avvento di un neo-feudalesimo a base tecnocratica e plutocratica.

24 aprile 2022

…per la precisione, 49 anni e 341 giorni

22 aprile 2022

Notevole

20 aprile 2022

Dal Corriere della Serxa: Noam Chomsky ci racconta la storia della resistenza italiana.

Questo tema (l’invio di armi ndr) è molto dibattuto in Italia, dove la Liberazione dal nazifascismo è stata possibile grazie agli Alleati e all’aiuto in armi che hanno dato alla Resistenza. 
«La “liberazione” dell’Italia da parte degli Alleati è questione complessa. Quando le forze alleate liberarono l’Italia meridionale nel 1943, stabilirono il governo Badoglio e della famiglia reale, accogliendo i collaboratori fascisti, come nella Germania liberata. Mentre si dirigevano verso nord, disperdevano la resistenza antifascista e smantellavano gli organi di governo locali che i partigiani avevano formato nel loro tentativo “di creare le basi per un nuovo Stato democratico e repubblicano nelle varie zone che riuscì a liberare dai tedeschi”, cito Gianfranco Pasquino. Negli anni successivi gli Usa intervennero radicalmente in Italia per far sì che la destra conservasse il potere».

18 aprile 2022

“Forse oltre”. Il Corriere della Serxa traccia la biografia di un naz… ecco, diciamo nazionalista. Super nazionalista? Sì, forse oltre

Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca

di Andrea Nicastro

Tra i fondatori del battaglione «nazista» dell’Ucraina di cui Putin vuole disfarsi, ex capo degli ultras della Dinamo Kiev, ma ora le tracce del suo passato sono state cancellate da Internet. E 14 mila soldati e decine di missili sono pronti per lui

Sull’edizione russa di Wikipedia, il nome Denis Projipenko è messo in cima alla lista dei comandanti del battaglione Azov. Il più alto in grado. Il nemico numero uno di Mosca, l’uomo che personifica sul campo quell’Ucraina «nazista» da cui Putin vuole liberarla. Sui siti di Kiev, invece, nulla. Projipenko non c’è. Scomparso, la memoria digitale cancellata. Pulizia totale di tutto quanto lo riguardava. Fosse per Internet, l’ufficiale in capo della resistenza militare a Mariupol sarebbe un uomo senza passato, senza gloria, ma anche senza i sospetti di simpatie neonaziste che oggi nuocerebbero alla causa ucraina. Uno e novanta, biondo, naso sottile e occhi azzurri, il maggiore Denis Projipenko è uno dei fondatori del Battaglione Azov.

Addestrato come un incursore, bello come un attore, da anni è in prima linea contro i filorussi del Donbass e oggi, adesso, in questi minuti, è in trappola a Mariupol. Accerchiato senza possibilità di rinforzi. Bombardato dal cielo e dal mare. Braccato dai droni e dalle orecchie elettroniche. Basta una sua comunicazione, un avvistamento, una soffiata per potergli indirizzare contro un missile. Mosca sa come fare. Ci riuscì durante l’assedio di Grozny, in Cecenia, negli anni ’90 contro il presidente indipendentista Dudaev. E allora le tecnologie erano molto più arretrate.

A Mariupol 14-15mila militari russi stanno riversando una marea di esplosivi sulla città per eliminare lui e i suoi uomini. Decine di missili sono pronti a disintegrarlo, migliaia di soldati a reclamare la taglia che il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, intimo del leader del Cremlino Putin, ha messo sulla sua testa. Vivo o morto. Mezzo milione di dollari. Ciò che sta succedendo ai soldati che difendono Mariupol e al loro comandante Projipenko, ha lo spessore tragico delle grandi battaglie che cambiano il corso della storia e ispirano forti sentimenti. Anche se, nel frattempo, i protagonisti sono tutti morti. I 960 zeloti di Masada. I 300 spartani alle Termopili. Gli affamati di Stalingrado. Tutti sacrifici, vittoriosi o perdenti non è così importante per la storia, capaci però di segnare la consacrazione di un’identità non più negoziabile. Per il maggiore Projipenko, il riferimento più diretto è un altro, inciso persino in un bassorilievo dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. E’ la battaglia combattuta a metà del 1600 dai liberi cosacchi della steppa di Zaparozhzhie contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni II Casimiro. Ortodossi contro cattolici. Un impero dell’ovest contro le steppe dell’est. La battaglia di Berestenchko è, probabilmente, il più grande scontro terrestre di un secolo per nulla pacifico. I cosacchi di Crimea e del bacino del fiume Dnipro non volevano sottomettersi. Persero, ma 400 anni dopo, Denis Projipenko continua ad ispirarsi alla loro lotta per giustificare la sua.

È, probabilmente pronto a diventare il nuovo eroe nazionale ucraino. E le sue simpatie politiche, verranno strumentalizzate o meno a seconda di chi si impossesserà della sanguinosa leggenda. Ex capo degli ultrà della Dinamo Kiev, con la guerra del Donbass, Projipenko accorse volontario nel 2014 alla difesa del Paese. Da allora è diventato un soldato professionista, si è addestrato, ha imparato a combattere battaglie vere, non contro i lacrimogeni degli stadi. I russi dicono che abbia avuto istruttori stranieri, dai Delta Force alla Legione Straniera.

Il nucleo dei primi volontari del 2014 si struttura con il passare dei mesi. Riceve armi. Entra a far parte della Guardia Nazionale nell’autunno del 2014 ed è a quel punto che si libera di alcuni elementi di estrema destra. Da allora, in teoria, dovrebbe seguire le regole dell’esercito nazionale per cui l’apologia del nazismo è vietata. Il clima dentro il battaglione diventato brigata resta quello della sua iconografia, il simbolo così simile alla runa nazista, le t-shirt nere, le teste rasate, il saluto con il pugno al petto. Tutto molto militarista, machista e super nazionalista e forse oltre.

16 aprile 2022

Commento al brano “Toni Negri: il ’68”

Il prof. Toni Negri mi mise un (immeritato) 30 sul libretto: questo per dire che non posso avere hard feelings verso di lui. Però, a differenza del momento dell’esame, quando avrei dichiarato il mio accordo con lui anche se avesse detto che voleva passare per le armi mia nonna, oggi posso manifestare qualche divergenza di opinione. Mi fa velo, a distanza di tanti anni, una certa difficoltà a capire compiutamente il senso di molte delle frasi qui sopra riportate. Purtroppo, in questo, non sono migliorato da quei lontani giorni: neanche allora capivo tutto quello che il professore diceva e scriveva. Mi consolava e mi consola il fatto che i miei colleghi studenti, ivi inclusi i simpatizzanti, erano nella mia stessa condizione. E non è che si potesse e si possa rimediare: anche l’assistente del professore, di nome Maria Rosa, interpellata, non ci capiva una beata fava, ed era preoccupatissima che le sue peraltro insoddisfacenti spiegazioni venissero riportate al professore: “non glielo dite che ve l’ho spiegato così”, diceva.

Ma sto divagando.

Veniamo alle cose che capisco. Per prima cosa, mi colpisce il novero degli avversari. Non tanto il “potere civile”, sul quale si deve per forza concordare, ma il “potere religioso”.  Le ragioni le dirò subito, ma parto dalle notazioni più appariscenti. Quando mai si sentirono “pruderie di frequentazione di comuni sessuali e di abbandono a ogni trasgressione -omosessualità e pedofilia in primis”, riferite ai sessantottini? Mai, professore. E’ totalmente immaginario. E’ bensì chiaro che molte manifestazioni del pensiero sessantottino furono disapprovate dal clero: ma ciò derivava dalla diretta competizione per la cura delle pecore. Chiunque sia minimamente informato non ignora che ci fu un travaso dalle organizzazioni giovanili cattoliche alle file della contestazione, che allora si definiva globale. Organizzazioni giovanili cattoliche che includevano la GIAC, che Toni conobbe bene dal di dentro. Quanto ai costumi sessuali, ricordo qualche minigonna, e un linguaggio non da educande affiorante sulle labbra di molte ragazze. Omosessualità e pedofilia erano invece faccende che i preti sentivano conveniente non menzionare, e per ragioni oggi ovvie anche ai sassi.

Ma, per farla breve, spiego la ragione principale del mio dissenso. Il Sessantotto non fu un movimento di rivoluzione, ma di restaurazione. Pur con qualche dubbio lessicale, la chiamerei reazione. Nel ventennio precedente, si era verificato un fenomeno economico e sociale che qualcuno volle chiamare “miracolo economico”. Non voglio esprimere valutazioni, ma penso non si possa negare che la mobilità sociale verificatasi in quel periodo non ha riscontro in nessun periodo precedente della storia della penisola italiana, e, possiamo dire a posteriori, nessun periodo successivo. La ragione principale è culturale: vennero, nell’immediato dopoguerra, assorbiti e coniugati con la società italiana elementi della cultura protestante di impronta anglosassone. Su questa faccenda il testo di riferimento è il saggio di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, libro assai noto al professor Negri. Ora, non è importante cosa pensi Toni di Weber, dell’etica protestante e del capitalismo. Sappiamo che non gli piacciono granché, tutti e tre: ma neanche lui può negare che si tratta di roba estranea alla cultura italiana tradizionale e alla visione cattolica. L’iniezione culturale che avvenne negli anni ’40, ’50 e ’60, soprattutto nell’Italia del nord, diede luogo a un mix culturale certo discutibile, ma che connotava un cambiamento profondo rispetto alla società precedente, che per comodità definiremo caratterizzata da familismo amorale. So che sono semplificazioni, ma le uso solo per giungere più rapidamente alla conclusione che mi preme: ci fu cambiamento, non importa se buono o cattivo. Ma ci fu cambiamento. Bene, il ’68 consistette, a mio parere, in un brusco freno a questo cambiamento. Non ha molta rilevanza se gli intenti fossero di fare poi una rivoluzione proletaria. Poiché il primo (poi rivelatosi unico) passo fu di bloccare o rallentare il più possibile il cambiamento, a casa mia questa si chiama reazione.  Noi vediamo che i passi successivi furono:

  1. Occupazione da parte dei sessantottini delle posizioni di lavoro intellettuale, in primis nella scuola;
  2. Freno alla selezione per merito, restaurando la vecchia selezione familistica
  3. Occupazione delle posizioni di potere politico, giudiziario, burocratico, economico/ finanziario /industriale.

La conseguenza è stata l’arretramento della mobilità sociale e, di conserva, l’arretramento dello sviluppo.

Naturalmente, la società italiana è diversa oggi da quella del 1945. Tuttavia, nulla ci fa pensare che sia caratterizzata da maggiore mobilità sociale. In particolare, quel cambiamento che si citava qui sopra è indubbiamente stato interrotto. Ne derivo la conclusione che il ’68 è stato un movimento reazionario. Se poi guardiamo ai due poteri che cita Toni, il civile e il religioso, noi constatiamo che ambedue possono essere soddisfatti degli sviluppi di questo cinquantennio, per due ottime ragioni: la prima, che quel cambiamento è stato imbrigliato; la seconda, che i due poteri sono in mano ai sessantottini e, ormai, ai loro figli e famiglie.     

16 aprile 2022

Toni Negri: il ’68

Il ’68 italiano non fu solo un evento, ma uno degli apici di una ricomposizione di forze operaie e studentesche. In Europa fu cosa diversa,con effetti lunghi e profondi, ma privo del radicalismo di classe che l’unione operai-studenti aveva determinato in Italia. In Francia,il ’68 divenne un compito di modernizzazione, qualcosa da riassorbire, ripulendolo da ogni stortura anarchica e facendone un’istanza costituente di socialdemocrazia. Non avvenne.

Così come non avvenne in Germania, dove il ricatto della guer-ra fredda e la divisione del paese pesavano troppo per consentire ai movimenti di sviluppare la propria forza trasformatrice dei rapporti di potere.

L’Italia fu isolata. È dentro questo isolamento che la destra (eil centro e poi la sinistra) nutrirono l’odio per il ’68, e ne produssero odiose caricature. L’odio per l’anarchia – una vecchia abitudine reazionaria – traduceva il disagio delle élite verso la giovanile im-maginazione dei movimenti, il fastidio per le accuse di tradimento della Resistenza e di fedeltà alla continuità dei regimi borghesi succedutisi dal Risorgimento, la paura del rilancio delle politiche sociali imposto dai movimenti. E poi l’odio per il ’68 attraverso caricature dei modi di vita dei militanti – il travisamento della rivolta sociale e politica in «comportamento immoralista», la critica dell’i-pocrisia «benpensante» tradotta in volontà di distruzione dei valori, la falsificazione della rivolta familiare in fantasticata pruderie di frequentazione di comuni sessuali e di abbandono a ogni trasgressione -omosessualità e pedofilia in primis. Questi travisamenti che creavano odio furono immediati e ingiustificati- presto fu dimenticata la loro funzione repressiva. L’Italia è il paese più cattolico e ipocrita che esista: odiare e dimenticare, far dimenticare, uccidere e seppellire è il mestiere dei becchini cattolici della speranza.

Ma chiediamoci di nuovo: perché il ’68 è tanto odiato dal potere civile e considerato immorale dal potere religioso? Perché incarna la coerenza del pensiero e dell’azione – costruire un mondo nuovo dentro e fuori da noi stessi: perché l’unione del dentro e del fuori è per sé una potenza rivoluzionaria, è la riforma sempre aperta di sé stessi – di questo ha bisogno la rivoluzione. È l’anima che si riconosce nel corpo e viceversa, la singolarità che risorge nella moltitudine: la distruzione di ogni ideologia del potere-di ogni metafisica.

Da: Toni Negri, Storia di un comunista