LA TELEFONATA DI ZEFFIRELLI (dal profilo FB di Filippo Facci)
Nei tanti anni in cui avevo scritto sul Giornale e sul Foglio, un solo personaggio non ero mai riuscito veramente a toccare: Riccardo Muti. Era stra-protetto da tutti i giornali italiani per ragioni diverse, e ai direttori di quotidiano non importava granché inimicarsi l’apparato che si attivava ogni volta che avevo infilato in un articolo leggere critiche o ironie: tipo la Sovrintendenza, Mediaset attraverso Fedele Confalonieri (che lo adorava, lo trasmetteva, dava soldi alla Scala) e vari altri soggetti.
Poi, un giorno, Giuliano Ferrara mi diede il via libera. Non ci potevo credere. Scrissi un poema (avevo fonti formidabili) che avevo tenuto in serbo per anni. Lui lo lesse e mi diede un paio di consigli. Poi fu pubblicato, e boom.
Riccardo Muti lo lesse e telefonò a Confalonieri. Confalonieri telefonò a Ferrara che poi telefonò a me. Mi disse: hai fatto il botto.
Riccardo Muti si era dimesso dal Teatro alla Scala quella mattina stessa, dopo aver letto l’articolo, sentendosi definitivamente tradito in giorni in cui anche gli orchestrali, per la prima volta, l’avevano contestato.
In quei giorni ricevetti le telefonate più impensabili. Una fu di Franco Zeffirelli, che era così entusiasta da invitarmi a trovarlo nella sua villa fiorentina.
Non ci andai mai, ed è uno dei pochi rimorsi che ho nella vita.
(Avviso: benché questo articolo rappresenti uno dei due o tre capolavori professionali della mia vita, è di una lunghezza spropositata e inattuale. La maggior parte di voi, che tutto sommato disprezzo, è meglio che non cominci neanche a leggerlo. Astenersi disinteressati, insomma)
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