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7 ottobre 2015

Una leonessa a Santa Cecilia

Non si può mancare all’inaugurazione della stagione sinfonica di Santa Cecilia, e infatti l’Auditorium era quasi pieno. Naturalmente, a invogliare c’era la Nona di Beeethoven. La quale si usa definire Corale, e mai definizione fu più appropriata. Il Maestro Pappano ha diretto in scioltezza, ossia con una fluidità che a tratti appariva nonchalance. Qualche intoppo, lo si deve testimoniare con rammarico, è venuto dagli archi (violini e viole) e dai fiati. Molto bene violoncelli e contrabbassi e soprattutto il timpanista Antonio Catone (embe’, gloria anche alle percussioni, ogni tanto). La mia sensazione complessiva è che una seduta di prove in più non avrebbe guastato. D’altra parte, anche le grandi squadre di calcio spesso faticano alla prima di campionato.
Tutto ciò posto, si passa al capitolo voci. Solisti senza infamia e senza lode, come ormai è prassi. Il coro è stato superlativo. Io non mi stanco di compiacermi del coro di Santa Cecilia, che mi sembra sempre meglio, mentre lo stesso non posso dire di quello della Scala.
La Nona è stata preceduta da un brano in prima esecuzione, per voce di soprano, orchestra e coro di Luca Francesconi, scritto su testi di Nelson Mandela. Un lavoro non spiacevole, in ambiente sostanzialmente tonale.
Il soprano sudafricano Pumeza Matshikiza ha reso una bella performance, con accenti felini (nel senso di grandi felini) come si conveniva alla visione un po’ turistica, da safari fotografico, cui è improntato il pezzo.
La presentazione al microfono del Maestro Pappano è da dimenticare, sia per i contenuti banali, sia per l’italiano approssimativo, che ormai è pecca grave.