Ritenevo di essere un automobilista del terzo millennio, visto che in città mi muovo prevalentemente con le auto in car sharing. Perciò dal 2012 mi sono iscritto a quattro società di questo tipo. Il risultato non è brillante:
- Una è fallita. Perciò non la uso più.
- Un’altra mi ha messo una “multa” (loro la chiamano penalità) per divieto di sosta. Sarei stato ben disponibile a pagare la multa se spiccata da un vigile, ancorché romano. Invece no: sono loro che girano con la macchina fotografica, fotografano le infrazioni dei propri clienti, e poi, in base a una clausola contrattuale, ti chiedono 50 euro di penalità. Perciò non la uso più.
- Un’altra mi ha attirato con una tariffa stracciata, salvo, dopo un anno, aumentarla del 50%. Avrei anche potuto sopportare, ma poi hanno detto che mi avrebbero concesso uno sconto sulla base delle mie risposte a un questionario. Il questionario era composto di una sola domanda, a scelta multipla. L’imprevedibile domanda era: perché usi il car sharing? Io ho scelto: per la flessibilità. Potevo scegliere: perché costa poco, perché si inquina meno, perché si può parcheggiare sulle righe gialle, ma invece ho scelto per la flessibilità. Risultato: due centesimi di sconto al minuto. Perciò non la uso più.
- La quarta è più seria, visto che è tedesca. Più cara, ma meglio. Andava tutto bene, finché la banca non mi ha rinnovato la carta di credito, che andava in scadenza. E lì è iniziata la persecuzione. La loro amministrazione, centralizzata a Stoccarda, non riesce a addebitare la carta di credito rinnovata. Il sistema ha un baco (infatti ho visto molte lamentele dello stesso tipo sulla app), ma il servizio clienti italiano non ha il coraggio di dirlo ai padroni tedeschi. Morale: sono stato molestato e minacciato perché pagassi 6 euro per bonifico internazionale, con la prospettiva di essere molestato nello stesso modo a ogni fattura futura. Perciò non la uso più.
Ho tirato fuori la macchina dal garage. Sono di nuovo un automobilista del secondo millennio.
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