Nell’anniversario della morte del cosiddetto avvocato Agnelli, rivoltante spargimento di saliva da parte di schiere di pennivendoli. Non che li abbia letti tutti, ma certamente parlano più del suo “stile” che della sua tendenza a prendere finanziamenti pubblici portando i soldi all’estero.
Ferruccio De Bortoli non riesce a avere la faccia tosta di dimenticarsene, e dedica all’argomento qualche riga nell’ambito di un lunghissimo elogio funebre:
Fu testimone di un’italianità orgogliosa delle proprie eccellenze ma nello stesso tempo dotata di una sufficiente dose di autoironia per ammettere difetti e limiti del carattere nazionale. L’Avvocato non si sentì mai uno straniero in patria, anche se probabilmente portò fuori dall’Italia un po’ del suo patrimonio (così facevano e purtroppo fanno ancora in molti). Forse, però, non avrebbe seguito la moda imperante di trasferire all’estero anche le sedi legali e fiscali di quasi tutto il made in Italy. Come senatore a vita gliene avrebbero chiesto il conto e un po’ se ne sarebbe vergognato. Ma dopotutto, Sergio Marchionne — che non conobbe — e il nipote John Elkann, hanno realizzato quelle aggregazioni internazionali che ai suoi occhi erano comunque inevitabili, tentate più volte e fallite.
Inevitabili. Onore a Sergio e Jaki che sono riusciti a cedere all’inevitabilità.