L’interpretazione musicale è argomento poco scientifico. Anche le migliori recensioni di un concerto vanno sull’opinabile, sull’immaginifico, sull’apodittico. Come avviene quando non ci sia un punto di appoggio sicuro, rimane come risorsa il confronto fra interpreti.
Ieri ho assistito, nella Festspielhaus di Baden-Baden, a un concerto lunghissimo. L’interprete più atteso era il pianista coreano Seong-Jin Cho, che con l’Orchestra Mariinsky, diretta da Valery Gergiev, ha dato agli spettatori ambedue i concerti di Chopin, oltre a un bis piuttosto noto, ossia la Polacca op.53. Serve aggiungere che il ventitreenne coreano è vincitore del Concorso Chopin di Varsavia del 2015, tenzone per la quale sono passati, non sempre vincitori, molti dei maggiori interpreti chopiniani, fra cui possiamo citare, fra i viventi, Vladimir Ashkenazy, Maurizio Pollini, Martha Argerich, Ivo Pogorelich, oltre a una selva di pianisti orientali, che da una quarantina d’anni occupano le prime posizioni nel concorso, per poi essere regolarmente dimenticati nel giro di pochi mesi.
Non so se Seong-Jin Cho subirà la stessa sorte. Impegnato in due fondamentali capolavori della letteratura pianistica, bisogna dire che non ha sbagliato nulla. Inoltre, rispetto al più noto dei suoi concorrenti orientali, ossia il famigerato Lang Lang, meglio ha fatto, distinguendosi per superiori chiarezza espositiva e uso della dinamica, specie per quanto riguarda una mano sinistra davvero bene impostata (a mio parere, la mano destra era limitata nella resa da una imperfetta accordatura dello Steinway sulle note più alte).
Detto tutto il bene che si può dire dal punto di vista tecnico, rimane il solito male da dire sulle qualità interpretative. Studiati che ebbimo Lang Lang, Yuia Wang e il simpatico Seong-Jin Cho, ci tocca tornare al punto di partenza, e avallare i pregiudizi: è un fatto culturale. Gli autori occidentali sfuggono alla comprensione profonda di questi ragazzotti dalle agili dita. E, per tornare alla premessa, non un brivido, non una piacevole sensazione mi furono comunicati ieri sera. Non è una valutazione scientifica, ma per me vale.
Dicevo all’inizio che è stato un concerto lunghissimo: così dicono fossero quelli fino all’anteguerra. E’ probabile che abbia influito la voglia di Gergiev di andare oltre Chopin. Della parte orchestrale dei due concerti di Chopin c’è molto poco da dire: frutto di imperizia compositiva. Credo che sia una sofferenza per direttore e orchestrali. Ragion per cui, è stata una questione di riscatto posporvi la Settima di Bruckner, che l’Orchestra Mariinsky e il suo direttore hanno reso alla grande. Gergiev dirige senza podio e con una mini bacchetta. Il suo gesto, sempre sobrio, negli anni è diventato meno brusco, e così deve dirsi della resa sonora, più levigata di un tempo, ma ugualmente brillante. L’orchestra, ieri non ricca di elementi, si conferma fra le migliori in assoluto.