Gustavo Dudamel al Concerto di Capodanno

Spesso metto qui note sul concerto di capodanno (*). Come ho detto più volte, si tratta di un’occasione interessante per un confronto a distanza fra i maggiori direttori, e per un aggiornamento sullo stato di salute della direzione d’orchestra nel mondo. Non deve fuorviare l’apparente facilità dei brani: si tratta di banchi di prova validi, e la stessa scelta del programma dice molto sul direttore.

Ho anche scritto, negli anni scorsi, di una palpabile decadenza. Dalla direzione di Carlos Kleiber nel 1992 abbiamo vissuto un quarto di secolo di opacità. Fino a oggi. La performance odierna di Gustavo Dudamel è stata, a mio parere, eccellente.

Delle cose che mi sono appuntato mentre ascoltavo e vedevo, direi che quello che risalta è il bel gesto direttoriale, sobrio e incisivo. A momenti ho rivisto il gesto dell’ultimo Karajan, il quale (anche per limiti fisici) spesso non si muoveva quasi, semplicemente vigilando che l’orchestra eseguisse ciò che aveva appreso nelle prove. A questo gesto sobrio, in Dudamel, corrisponde una grande vitalità interpretativa, a volte persino brusca se rapportata al tipo di musica rinvenibile in un concerto di capodanno. Spinta fino  alla drammatizzazione, ma in un controllo totale. E bisognerebbe essere davvero poco scaltri per pensare che una grande orchestra come i Wiener si diriga da sola.

Il dinamismo interpretativo di Dudamel giunge al limite dell’eccesso nell’episodizzazione dei brani, con un uso impressionante di rallentando e accelerando, nonché di crescendo controllati (specialità dei direttori romantici per aggiungere peso e tensione emotiva: penso a De Sabata, Furtwaengler, Mitropoulos). Il limite non è mai superato, tanto che alla fine di ogni brano si ricava la sensazione di un superiore equilibrio complessivo. Magistrale, in questo senso, la resa dei due pezzi “laici” (ossia non straussiani) di Suppé e Nicolai, giustamente salutati da un’ovazione del pubblico. Pubblico forse selezionato in base al reddito, ma certo migliore di quelli italiani, tutti.

Lo so: non occorreva aspettare il concerto odierno per scoprire Dudamel, e tutti sanno che la scoperta è di Claudio Abbado, guarda caso l’ultimo dei grandi che ci hanno lasciato. Piace anche verificare la bontà del vecchio detto milanese ofelè, fa el to mestè. Abbado era bravo a scoprire talenti, meno bravo quando, accanto a un giovane direttore d’orchestra venezuelano, magnificava anche un tristo governante dello stesso paese.

(*) Tante ormai, visto che ricorre in questi giorni il decennale del blog.

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